Fonte: Famiglia Cristiana on line
Autore: Walter Veltroni
"Testimoni di speranza", il diario del viaggio in Malawi con i ragazzi dells scuole di Roma del sindaco Walter Veltroni, pubblicato su Famiglia Cristiana on line: «Qui hanno incontrato per la prima volta la povertà. E capito che possono fare qualcosa per chi ha meno fortuna di loro».
Il contrasto forte, stridente, arriva subito. Sulla pista di atterraggio dell’aeroporto di Lilongwe il nostro è l’unico aereo. Il traffico, i rumori e la moltitudine di velivoli di Fiumicino sono lontani appena 10 ore, eppure i 150 ragazzi delle scuole romane e i loro insegnanti si rendono subito conto che la distanza è molto più grande, molto più profonda. Sono arrivati in uno dei Paesi più poveri del mondo, e lo sapevano, quando hanno iniziato a raccogliere i fondi per costruire, qui, due scuole.
Dopo il Mozambico e il Rwanda, Roma porta il suo cuore e la sua solidarietà in Malawi, grazie a questi ragazzi fantastici che hanno lavorato mesi per raggiungere il loro obiettivo. Vengono da una trentina di scuole, tra le rappresentanze più folte c’è quella degli studenti di Ostia. Tutti uniti per un traguardo concreto, che diventa visibile, reale, il giorno stesso, quando andiamo a inaugurare la Scuola "Roma" nel distretto di Nkhukwa.
Raggiungiamo i due nuovi edifici dopo circa un’ora di pullman. Ad accoglierci sono i colori, gli sguardi e i sorrisi di centinaia di bambini che cantano e ballano per noi, e in un attimo siamo insieme a loro, a seguire quel canto, Wasa Wasa, fatto di un ritmo e di parole che ci accompagneranno per tutto il viaggio. A Nkhukwa ci sono le autorità locali e i missionari comboniani di padre Mario. Saranno loro a gestire il complesso scolastico: accoglierà oltre 800 bambini che lì potranno non solo studiare, ma anche trovare cibo e acqua. Sono momenti di festa e di commozione. I nostri ragazzi ridono, scherzano, capiscono e si fanno capire con parole e gesti, ma spesso l’emozione arriva forte, e gli occhi si fanno lucidi.
A Nkhukwa non ci sono adulti né, tanto meno, anziani. In Malawi l’aspettativa di vita è fra i 35 e i 37 anni. L’Aids ha creato un vuoto tra le generazioni adulte, e la mortalità infantile è tra le più alte al mondo.
Qui l’acqua è una benedizione
La nuova scuola ha due targhe ben visibili sul muro principale: sono le dediche ad Angelo Frammartino, il giovane volontario accoltellato a morte a Gerusalemme meno di un anno fa, e a Giulia Songini, una studentessa del Liceo Augusto che sarebbe stata con noi se una malattia crudele non se la fosse portata via poche settimane fa.
Rientrando in albergo, sul pullman, i ragazzi parlano tra loro e tutti si ritrovano negli stessi pensieri: «Sapevamo quanto la situazione fosse difficile, sapevamo della povertà, ma vedere la realtà direttamente è tutta un’altra cosa».
Il giorno dopo il programma prevede l’inaugurazione delle aule scolastiche di Matola, un’opera di cui gli studenti di Ostia vanno particolarmente fieri. Durante il tragitto per arrivare sul posto veniamo sorpresi da un violento temporale, ma a nessuno dispiace, perché tutti hanno già imparato che qui in Africa l’acqua è una benedizione. L’allegria delle centinaia di bambini e ragazzi che intonano Wasa Wasa è ancora più bella, sotto l’acquazzone. Facciamo caso a tante bambine, di sei o sette anni al massimo, che tengono il loro fratellino o la loro sorellina appena nati legati con un drappo di stoffa sulla schiena. In Malawi si deve crescere in fretta. Il pomeriggio è dedicato alla visita della missione dei padri Monfortani di Balaka, che è un miracolo concreto per migliaia di persone che possono contare su un ambulatorio, su una scuola, su una mensa e su altri servizi realizzati grazie al trentennale lavoro di questa congregazione guidata da padre Luigi e animata dalla solidarietà di fantastici volontari. Nell’area della missione incontriamo il dottor Mario Spini, un toscano che trasmette sicurezza e competenza, e ci parla del suo centro medico per la lotta all’Aids che sta sorgendo nei pressi.
Il terzo giorno siamo a Zalewa, una località molto conosciuta. Si tratta di un luogo nel bel mezzo della savana, a un’ora di auto dall’unica strada asfaltata del Paese, che ospita un campo di raccolta per rifugiati dell’Acnur-Onu. Ci dicono che è la prima volta che degli studenti arrivano a visitare il campo, a conoscere una realtà così forte.
Oggi i rifugiati sono circa 2.800, ma ai tempi delle guerre in Mozambico, in Congo e in Ruanda qui vivevano 250.000 esseri umani. Gli adulti, molto pochi, non possono tornare nei loro Paesi d’origine. I bambini, moltissimi e per lo più orfani, hanno pochissime possibilità di un futuro migliore. I nostri ragazzi ascoltano le storie di guerra e violenza che alcuni coetanei raccontano, poi raccolgono le lettere che i rifugiati scrivono.
Sono indirizzate soprattutto al Papa, al presidente degli Stati Uniti e al segretario generale dell’Onu. In quei fogli, scritti in inglese o in francese, il concetto espresso è sempre lo stesso: «Non dimenticatevi di noi, aiutateci, portateci via da qui». Un ventitreenne congolese mi mette in mano una lettera scritta in italiano, evidentemente sapeva che ci sarebbe stata la nostra visita. Poi ho scoperto che ne aveva scritte altre 20 uguali, e le aveva distribuite ai nostri ragazzi. Arriviamo, quindi, a Blantyre, la vecchia capitale al tempo del colonialismo inglese. Qui c’è il migliore ospedale del Malawi per la cura dell’Aids ed è gestito da medici e volontari, quasi tutti romani, della Comunità di Sant’Egidio.
La struttura, in pochi anni, ha strappato alla morte migliaia di persone, grazie al progetto "Dream" che fornisce farmaci retrovirali in grado di bloccare il virus dell’Hiv. Con il passare dei giorni il cambiamento di molti ragazzi si fa sempre più evidente, soprattutto per quelli che erano partiti un po’ meno consapevoli di quello che avrebbero trovato.
Quel "senso" che riempie la vita
Una riflessione comune è quella sul "tempo", che in Africa sembra davvero scorrere in un altro modo, più lento, rispetto al nostro. Da qui la nostra società appare frettolosa e distratta, piegata alla logica del consumo immediato e troppo spesso superficiale: auto veloci, elettrodomestici veloci, computer sempre più veloci. La conclusione che i ragazzi si scambiano è sostanzialmente una, ed è quella che noi, che viviamo nella parte ricca e fortunata del mondo, cerchiamo in mille modi di guadagnare tempo, per poi accorgerci di non averne mai abbastanza, e soprattutto di non riuscire, spesso, a impiegarlo dando alla nostra vita quel "senso" capace di riempirla. L’opposto di quello che i ragazzi hanno visto nei missionari e nei volontari che in Malawi conducono un’esistenza veramente dura, lavorando per i più poveri della terra e senza alcun bene materiale. Ma la felicità segna dolcemente i loro volti.
Infine, l’ultima tappa: dopo una visita a un villaggio di pescatori sul lago Malawi, veniamo ospitati nella cooperativa agricola fondata dal nostro concittadino padre Federico Tartaglia, un esempio di come è possibile il riscatto dell’Africa attraverso un’esperienza comunitaria che punta su un’agricoltura moderna e di qualità. A questo punto il nostro viaggio volge al termine, e nessuno ha gran voglia di tornare. I ragazzi parlano tra loro di quello che si potrà fare di concreto per l’Africa, hanno voglia di raccontare quello che hanno visto ai loro compagni di scuola. Sanno di aver vissuto un’esperienza straordinaria, visitando una terra meravigliosa, che ha tante risorse e poco sostegno da parte di chi queste risorse potrebbe contribuire a liberarle. Sanno che molto dipende, purtroppo, dal silenzio che continua ad avvolgere l’Africa, ma sanno che a fare in modo che questo possa cambiare ci penseranno anche loro, ora che sono diventati testimoni.
Walter Veltroni